Origini
Le vacanze mare sulla costa d'Abruzzo: le lontane e misteriose origini
dei trabocchi.
Alcuni studi hanno cercato di capire la natura e lo sviluppo di tali
particolarissime costruzioni. La nascita e le forme sono state sicuramente
condizionate da fattori come l’aspetto morfologico della zona, dal tipo di pesca
praticato e dalla preparazione o provenienza sociologica dei pescatori stessi.
Per quanto riguarda i primi due aspetti, è evidente che la ricerca di una forma
intermedia che consentisse di non abbandonare la terra ferma era la soluzione
perfetta, anche in considerazione del fatto che non esistevano attracchi e porti
per le barche, che la costa è a ciottoli e che i fondali sono alti già a pochi
metri di distanza dalla riva. Esistono studi comparativi che hanno analizzato le
varie strutture sorte lungo la costa e le rive dei fiumi: i casoni da pesca
lungo il delta padano o i cosiddetti “retoni” toscani o i bilancioni veneti. È
evidente però che i trabocchi abruzzesi hanno delle peculiarità
proprie che li differenziano da tutti gli altri e che sono dovute a
precise motivazioni storiche e a specifiche condizioni ambientali.
Per quanto riguarda la provenienza sociologica dei pescatori, dobbiamo
considerare che, vista anche la morfologia della regione che vede prevalere il
paesaggio di montagna a quello costiero, l’abruzzese era un uomo dedicato
soprattutto all’agricoltura e alla pastorizia. Questo però al tempo stesso non
vuol dire che non siano esistiti uomini di mare abruzzesi. Anzi, l’adriatico è
l’unico sbocco di una terra circondata dai massicci appenninici e quindi
finestra obbligata e risorsa fondamentale per lo sviluppo economico, civile e
culturale. La quasi totale assenza di un mercato però non aiutò la nascita di
una vera e propria classe sociale autoctona, tanto che le coste abruzzesi furono
a lungo terreno di conquista da parte dei pescatori pugliesi e marchigiani che,
più evoluti dal punto di vista tecnologico e con una maggiore esperienza, si
spingevano con le loro barche fin nelle nostre acque dove c’era abbondanza di
pesci.
Proprio questa particolarità può aver decretato la natura dei trabocchi che sono
un’estensione della terra ferma verso il mare, un prolungamento per pescare
senza essere in mare, restando con i piedi per terra. I trabocchi non sono altro
che delle costruzioni, delle vere e proprie piattaforme in legno utilizzate per
la pesca che solo un sapiente e abile artigiano può avere innalzato. Infatti
anche se l’aspetto è instabile e fragile, in realtà sono delle solide strutture
fatte per resistere ai flutti del mare grazie anche al prevalere degli spazi
vuoti che permettono di eludere le violenze del mare e del clima in genere. A
queste conclusioni giunge anche un recente articolo in cui è stata effettuata
una ricostruzione meticolosa ed attenta delle origini di queste strutture. Uno
studio incentrato sulla famiglia Verì, cui appartiene Masino, l’ultimo
traboccante: uno studio che ha ripercorso a ritroso i secoli fino a risalire
alla seconda metà del 1600. La storia di questa famiglia è la storia dei
trabocchi. Proprio a quegli anni risalirebbero diversi sbarchi sulle coste
abruzzesi di ebrei che fuggivano dal Nord d’Europa dilaniato da calamità e
sconvolgimenti naturali. Le popolazioni provenivano dalla Francia e dalla
Germania, anche se questi ultimi erano principalmente tessitori e commercianti.
Tra i francesi spiccano quattro fratelli che portano con sé un numeroso seguito
di mogli e schiave. Questa moltitudine verrà detta dai nuovi confinanti
germanici wirr ovvero “confusione, scompiglio” che, in seguito
all’evoluzione fonetica, diventerà l’attuale Virì o Verì che ritroviamo nei
cognomi degli abitanti dei comuni della costa e di San Vito in particolare.
Abili falegnami e fabbri ma inesperti nuotatori, iniziarono a costruire queste
palafitte scegliendo con cura il legno di quercia o di leccio (alberi più
resistenti agli agenti atmosferici) per le travi e il legno di ornello e carpino
(più leggeri e facili da lavorare) per fabbricare i cunei da conficcare nella
roccia per saldare tutta la struttura alla scogliera. Il materiale impiegato è
ovviamente tutto materiale di risulta: successivamente troveremo utilizzate
anche le travi, i bulloni e il filo di ferro provenienti dai vicini cantieri
della ferrovia. Con i nuovi materiali e grazie alla manutenzione che si teneva
nei mesi invernali, precisamente gennaio, durante le basse maree e le bonacce,
la struttura originaria del trabocco mutò radicalmente diventando sempre meno
pesante e sempre più snella e leggera. Intorno al trabocco ovviamente si
svilupperà anche un patrimonio di feste, riti e tradizioni come quella di
tagliare e preparare il legname da impiegare nel trabocco stesso esclusivamente
nella fase lunare calante di agosto. Sull’origine dei trabocchi sono state fatte
però anche altre ipotesi. Ad esempio alcuni hanno visto nella tecnica di pesca
delle importanti affinità con un’altra metodologia oggi totalmente scomparsa: la
pesca con la nassa. Questa era praticata da piccoli battelli a remi
specializzati per la cattura dei cefali. Dalla prua sporgevano due lunghi
pennoni al centro dei quali, su di un’asta trasversale, era poggiata la nassa
mentre dall’altra parte, a fare da contrappeso, c’era un sacco di sabbia. Quando
questo veniva abbassato, scattava il meccanismo e la rete fuoriusciva dall’acqua
con le sue prede. Effettivamente la tecnica a bilancia ha dei notevoli punti di
contatto con quella dei trabocchi su cui ci soffermeremo più avanti. La pesca
con la nassa scomparve soprattutto perché considerata troppo pericolosa per le
persone ospitate sull’imbarcazione che si trovavano costantemente in equilibrio
precario. Per questo motivo si sarebbe passati ai trabocchi, anche alla luce dei
numerosi rastrellamenti che la Regia Marina mise in atto intorno al 1915 per
recuperare barche da impiegare nell’ormai prossimo primo conflitto mondiale. A
causa di una o di entrambe queste due motivazioni, i pescatori si videro
costretti a trovare un altro modo per continuare la propria attività senza far
ricorso a delle imbarcazioni.
Questa teoria oggi è in minoranza rispetto a quella precedentemente esposta: è
più probabile che si sia verificato il contrario ovvero che il modus
pescandi del trabocco sia stato prestato e adattato alle esigenze di
piccole imbarcazioni che potevano essere utilizzate per cacciare i cefali che,
in seguito alle mareggiate, si ritrovavano negli anfratti delle scogliere. Gli
ultimi traboccanti, che tramandano un immenso e antichissimo patrimonio
culturale esclusivamente per via orale, affermano addirittura che la presenza
dei trabocchi è antecedente anche alle abbazie e agli altri insediamenti stabili
della costa: questo vorrebbe dire che la loro costruzione risalirebbe all’ottavo
secolo d. C. circa. A dire il vero un’origine così antica non è documentata da
fonti storiche, che invece sono abbondanti per le epoche più vicine a noi. In
ogni modo i trabocchi, qualunque sia la loro origine, sono frutto di secoli di
esperienza e di numerosi tentativi susseguitisi ad ogni mareggiata che
distruggeva, anche solo in parte, la stratificazione precedente. Sono
sicuramente opera di persone non esperte di correnti, di flutti e di mare ma di
falegnami e abili artigiani, pastori che si inventarono pescatori per cercare di
sfruttare la grande risorsa che avevano davanti a loro. Da qui nacquero queste
strane palafitte piantate sugli scogli e collegate da un’esile passerella di
legno e corde alla terraferma
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